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Il ruolo dello stile di vita nell’approccio al paziente con dislipidemia

  • Giornale italiano della cardiologia Volume 17 –
  • 12 ott 2016
  • Tempo di lettura: 3 min


Nonostante l’osservata, progressiva riduzione della mortalità cardiovascolare nei paesi industrializzati, le malattie conseguenti all’aterosclerosi della parete arteriosa e alla trombosi rimangono ancora patologie molto frequenti. Le cause di queste malattie sono multifattoriali, alcune modificabili con gli interventi sullo stile di vita, come l’inattività fisica, il fumo e le cattive abitudini alimentari, altre anche con un trattamento farmacologico, come le dislipidemie, l’ipertensione arteriosa, il diabete.

Nel plasma i lipidi, come colesterolo totale (CT) e trigliceridi (TG), sono legati a diverse apoproteine per formare le lipoproteine. Le lipoproteine ad alta densità (HDL) non sono associate all’insorgenza di aterosclerosi, anzi hanno proprietà antiaterogene. Quelle a bassa densità (LDL), che trasportano la maggior parte del colesterolo plasmatico, invece sono aterogene, mentre chilomicroni e lipoproteine a densità molto bassa (VLDL), ricche di TG, non sono aterogene, ma in alte concentrazioni possono causare pancreatiti.

La riduzione dei tassi di mortalità per malattie cardiovascolari è legata in gran parte a modifiche degli stili di vita, che devono sempre precedere ed accompagnare qualsiasi approccio farmacologico al controllo delle dislipidemie. Nello studio di Palmieri et al. è stato esaminato il peso relativo della riduzione dei fattori di rischio rispetto agli interventi della fase acuta nello spiegare la riduzione dei tassi di mortalità tra il 1980 e il 2000 in Italia. La riduzione dei decessi per cardiopatia ischemica tra il 1980 e il 2000 era dovuta agli effetti derivanti dai trattamenti e dalla riduzione dei fattori di rischio. Approssimativamente 23 660 (55%) meno morti per cardiopatia ischemica erano attribuibili alle modifiche dei fattori di rischio nella popolazione. In particolare la riduzione del Col.Tot (-0.35 mmol/l) ha impedito o ritardato 10 045 (23%) decessi per cause coronariche. La riduzione seppur contenuta (-10%) dello stile di vita sedentario ha impedito o posticipato circa 2490 morti. Al contrario, l’aumento dello 0.1% in prevalenza del diabete ha provocato circa 945 decessi aggiuntivi, mentre l’aumento, per quanto contenuto, dell’obesità (incremento dell’indice di massa corporea) si stima abbia provocato circa 245 decessi aggiuntivi.

ALIMENTAZIONE

Un’alimentazione ricca di fibre, legumi, frutta, verdure e cereali integrali ha un effetto diretto ipocolesterolemizzante e, pertanto, va incentivata in modo che, sostituendo gli acidi grassi saturi, si ottimizzano gli effetti dell’alimentazione sul C-LDL.

Si ricorda che la dieta mediterranea come descritta da Ancel e Margaret Keys40 nel loro libro pubblicato nel 1975 così riportava l’alimentazione tipica di quegli anni «...un abbondante piatto di pasta e fagioli, molto pane, senza alcun tipo di aggiunta di grasso spalmabile, grandi quantità di verdure fresche, una modesta porzione di carne o di pesce due volte a settimana, vino...; sempre frutta fresca come dolce.

ATTIVITA' FISICA

L’esercizio fisico, regolarmente svolto, incrementa il colesterolo HDL (C-HDL) e diminuisce i TG, con conseguente miglioramento dei livelli di CT e C-LDL, sebbene di minore entità. Un esercizio fisico moderato è in grado di determinare un aumento del C-HDL dal 4% al 43%. Gli atleti che praticano sport di resistenza hanno livelli di HDL più elevati del 40-50% e TG inferiori del 20% rispetto ad una corrispettiva popolazione sedentaria. Il meccanismo attraverso il quale l’attività fisica determina questi effetti sembra essere associato a un incremento della lipoproteinlipasi e ad una diminuzione della lipasi epatica, che porta al catabolismo dei TG e ad un aumento del C-HDL. Inoltre, anche senza variazione del C-LDL è stato dimostrato un aumento delle dimensioni delle particelle LDL, con ovvia riduzione delle LDL piccole e dense, notoriamente più aterogene.

Il miglioramento del C-HDL non sembra essere correlato al tipo di esercizio fisico, ma piuttosto ad una correlazione dose-risposta: un’attività fisica moderata, svolta raggiungendo una frequenza cardiaca compresa tra il 40% e il 60% della frequenza cardiaca massimale, per 30-40 min, 5 volte la settimana, o ancor meglio, quotidianamente è in grado di ottenere gli effetti sovradescritti sul quadro lipidico.

ALTRI INTERVENTI

Sicuramente efficace, ma di entità relativamente minore, è l’effetto della perdita di peso: una perdita di circa 10 kg riduce il C-LDL di circa 8 mg/dl. Maggiori saranno i benefici di una perdita di peso ottenuta attraverso una dieta a basso contenuto di grassi. Un’assunzione moderata di alcool (non superiore 20-30 g/dl negli uomini e 10-20 mg/dl nelle donne), in soggetti che non presentano ipertrigliceridemia, può essere accettabile. Il fumo è in grado di agire sul profilo lipidico determinando l’ossidazione delle particelle di LDL piccole e dense maggiormente aterogene. La sua sospensione, oltre a determinare una serie di benefici effetti su altri aspetti del rischio cardiovascolare, si inserisce nel novero di misure da raccomandare per migliorare lo stile di vita .


 
 
 

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